Giovedì 26 Gennaio 2017 – Prof. Alberto Malfitano: La gestione idrica nei territori. L’esempio della Romagna.

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Una serata conviviale di estremo interesse quella dell’ultimo Giovedì di Gennaio al Grand Hotel grazie alla vivace relazione dell’ospite relatore Prof. Alberto Malfitano ed agli interventi di un altro graditissimo ospite, il Dott. Tonino Bernabé, presidente di Romagna Acque. Il Prof. Alberto Malfitano è ricercatore di storia contemporanea all’Università di Bologna, nonché direttore dell’Istituto Storico della Resistenza di Rimini. L’argomento è quello della nascita e sviluppo del moderno approvvigionamento idrico della nostra Romagna, affrontato dal punto di vista storico dalla recente pubblicazione del Prof. Malfitano intitolata “Il Governo dell’Acqua”. Narrazione che verte intorno alla lunga storia della realizzazione della diga di Ridracoli, cogliendo fondamentali aspetti politici, sociali e tecnici. Il tema appassiona la platea rotariana ed il Presidente Ravaioli è costretto a porre fine alle domande ed agli interventi dei soci, tra i quali quelli di Amos Magrini e di Carlo Carli, per raggiunti limiti temporali. Con velata autoironia il Professore ricorda che gli storici lavorano in occasione degli anniversari. L’occasione dunque per la pubblicazione di Malfitano è il cinquantesimo anniversario dell’antenato dell’attuale Romagna Acque Società delle Fonti, ovvero la costituzione, nell’Agosto del 1966, del Consorzio Acque per le Provincie di Forlì e Ravenna. E’ un tema trasversale che tocca pesantemente anche la politica. Si parte nel 1962, anno in cui il progetto diga di Ridracoli viene presentato. Siamo in pieno boom economico. C’è molto ottimismo e fiducia nel futuro. Sono gli anni dell’esodo dalle campagne, del boom turistico a Rimini, dello sviluppo dell’industria ortofrutticola a Cesena. La società cambia velocemente, sale a bordo della 500 e si modernizza. Le città crescono e nascono nuovi quartieri. Sono i sindaci che si pongono il problema di come soddisfare il fabbisogno idrico delle proprie città. A Forlì il primo cittadino è Icilio Missiroli. A Ravenna la situazione è particolarmente grave. Manca l’acqua e l’unica soluzione pare l’emungimento delle falde sotterranee, con tutti i rischi connessi alle malattie da inquinamento delle stesse. Queste problematiche per Ravenna Forlì e Cesena sono poste in evidenza già dalla fine dell’800. Al contrario Rimini ha la falda del fiume Marecchia che garantisce buona acqua e di buona qualità. A Rimini il problema nasce dunque successivamente, con l’espansione urbana e specialmente nella zona Sud. A fine 800 si pensa addirittura di ripristinare l’acquedotto di Traiano che trasportava l’acqua da Meldola a Ravenna. Si inizia ad investire, con scarso successo, sul Senatello. Il Ventennio porta l’acqua da Torre Pedrera di Rimini a Ravenna. Insufficiente portata e, con lo stile dell’epoca, grande propaganda in occasione dell’inaugurazione del 1931. Il fascismo costruisce anche l’acquedotto di Cesena che però viene presto abbandonato a causa delle importanti infiltrazioni di liquami e contaminazioni dai terreni agricoli. La guerra completa l’opera devastando con pesanti bombardamenti l’intera linea e praticamente tutti i serbatoi, considerati obiettivi strategici. Ai sindaci dopo la guerra, non resta che trivellare il territorio per cercare nuove falde, che però si abbassano costantemente creando i presupposti per il fenomeno della subsidenza. Nasce l’idea della grande diga dell’Appennino e il luogo viene scelto in una piccola valle dell’alto Bidente sopra Santa Sofia. Il Consorzio di Bonifica di Predappio è incaricato di redigere il progetto. Ma la Romagna ed il forlivese non ha una grande città per giustificare un colossale investimento come quello in progetto. E’ necessario dunque stringere alleanze con le altre città romagnole ed andare verso un progressivo superamento dei campanilismi. Serve la forza per bussare a Roma e chiedere i finanziamenti necessari. Sussistono enormi diffidenze. Cesena all’inizio è contraria perché non intende avvallare una sorta di egemonia di Forlì, visto che il progetto è forlivese. Cesena presenta addirittura un contro-progetto. Devono trascorrere alcuni anni per il superamento delle divergenze tra Forlì, Cesena e Ravenna. Si aggrega anche Rimini col sindaco Walter Ceccaroni, ispirato da una lungimirante prospettiva. Oggi noi riminesi non abbiamo bisogno di un’acqua che viene da tanto lontano ma domani le cose potrebbero cambiare e quindi partecipiamo al progetto.
Anni 60: la progettazione, il confronto tra amministratori romagnoli e le alleanze. Lo stato resta a guardare senza partecipare al dibattito, ma valuta i progetti e chiede continue integrazioni attraverso il servizio dighe del ministero. Il disastro del Vajont è un fatto recente e quindi massima attenzione agli aspetti tecnici. Nel 1974 arrivano 9 miliardi di lire dalla regione Emilia Romagna. Fondamentali per partire coi lavori, che vengono appaltati nel 1975 alla Cmc di Ravenna, a Cogefar S.p.A. ed a Lodigiani S.p.A.. E’ una diga enorme, alta cento metri e vi grosse difficoltà iniziali. Finanziarie per continue varianti dovute a richiesti nuovi studi e per la grande inflazione degli anni della crisi petrolifera. E poi, ecco le prime proteste del mondo ambientalista. Da proteste isolate di singoli individui locali degli anni ‘70 si passa a proteste organizzate e grandi manifestazioni. Il Wwf sbandiera la sismicità della zona e paventa la pericolosità dell’opera. Nel ‘79 a lavori già iniziati il progetto è sull’orlo del naufragio col rischio di penali enormi nei confronti delle imprese. Giorgio Zanniboni, già sindaco di Forlì, in questo anno diviene presidente di Romagna Acque. Assieme al Partito Comunista, che aveva nella Regione Emilia Romagna la propria vetrina in ambito di amministrazione del territorio, sono i principali fautori dello sblocco della situazione. Altri partiti, Democrazia Cristiana in primis, avevano tra l’altro già iniziato a pensare a soluzioni alternative. Altri fattori fondamentali per la ripresa delle opere sono l’archiviazione da parte della Magistratura dell’esposto del Wwf e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sull’aggravarsi del problema della subsidenza per il continuo emungimento delle falde. Lo stesso geologo che anni prima aveva previsto la possibilità di crollo del monte Toc nell’invaso del Vajont, si schiera a favore di Ridracoli sostenendo che si tratti di un’opera sicura e questo ha un impatto estremamente positivo nell’opinione pubblica. Determinante anche il ritorno da protagonista di Rimini, che negli anni 70 si era un po’ defilata. Il ritorno di Rimini nei primi anni ottanta è fondamentale in quanto rende il progetto, i cui costi sono vertiginosamente cresciuti in corso d’opera, nuovamente economicamente vantaggioso. Con l’ingresso di Rimini, lo Stato firma il decreto Nicolazzi e le opere ripartono. Quasi contemporaneamente, nel 1977, anche il progetto alternativo a Ridracoli, ovvero il Canale Emiliano Romagnolo viene finanziato, ma dal Ministero dell’Agricoltura in ambito degli interventi sull’agricoltura. Nel 1988 Ridracoli viene inaugurata da Giovanni Spadolini. E’ costata circa 570 miliardi di Lire. L’investimento più grande per una infrastruttura in Romagna. All’epoca a Rimini alto è il dibattito sull’acqua di Ridracoli perché viene da lontano e costa cara. Ma, complice una siccità dei primi anni novanta, i Riminesi chiedono a gran voce di costruire rapidamente tubazioni per approvvigionare anche la nostra città. Le amministrazioni prendono coscienza che l’acqua non è un problema da risolvere, ma una risorsa preziosa.