Giovedì 25 Maggio 2017 – LAURA UGOLINI: Il restauro del sipario storico del teatro Amintore Galli di Rimini.

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La giunta comunale ha recentemente approvato la proposta dal direttore dell’Unità progetti speciali, ing. Massimo Totti, per l’affidamento delle attività di progettazione e restauro del sipario storico. Un bando articolato in due fasi, di cui la prima per la selezione degli esperti mediante il curriculum vitae e la seconda per l’affidamento dell’incarico a ditta specializzata.
Una procedura complessa che tiene conto della preziosità dell’opera e che, con il coinvolgimento della Soprintendenza di Ravenna e con il supporto dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, si esprimerà sulla bontà degli aspetti tecnici, protocolli e linee guida da rispettare nella progettazione e nelle successive attività di restauro. Aspetti tecnici, protocolli e linee guida elaborate da Laura Ugolini, restauratrice di fama da più di trent’anni, dal 2013 dipendente dello Stato del Vaticano, impegnata nel restauro della Scala Santa, che ha avuto il compito di predisporre il progetto che sarà messo in gara di affidamento, nonché di supervisione del restauro.
Ed è proprio Laura Ugolini la graditissima ospite e relatrice della serata conviviale al Grand Hotel di Rimini. Laura è riminese di origine. Ha lasciato la nostra città nel 1979 per completare il percorso di studi. E’ specializzata nel restauro di opere pubbliche e private. Tra i vari capolavori dell’arte si è occupata di dipinti conservati presso gli Uffizi, opere di Botticelli e Cimabue ed ha partecipato al restauro della Cappella Sistina.
La relazione è un excursus di estremo interesse sulla genesi del sipario storico del teatro, sulle varie traversie e vicissitudini che ne hanno caratterizzato la storia degli ultimi due secoli fino ai nostri giorni.
Un grande telo che fosse non solo funzionale agli intermezzi degli atti, ma risultasse esso stesso un’opera d’arte e che si offrisse come un vero quadro di spettacolo esposto agli occhi del pubblico a trattenerlo con grandi sensazioni prima dello spettacolo della scena. Così aveva pensato l’architetto pontificio Luigi Poletti per il “suo” teatro riminese, per il grande sipario dipinto che, dopo un primo coinvolgimento del pittore Pietro Gagliardi, fu affidato nel 1855, non senza l’influenza dello stesso Poletti, dalla giunta municipale di Rimini e dalla commissione cittadina per il teatro a Francesco Coghetti (1802 – 1875), pittore bergamasco tra i più illustri accademici italiani dell’epoca, diplomato all’ Accademia Carrara e poi formatosi a Roma, ordinario di pittura all’Accademia di San Luca di Roma. Coghetti era all’epoca molto famoso per opere pittoriche di grande formato, enormi pale ad ornamento delle chiese, ma non si era mai cimentato in un sipario.
In un primo momento fu chiesto al pittore di progettare un sipario con Flaminio Console che veste le insegne consolari a Rimini, ma lo stesso Coghetti, supportato da Poletti, sostenendo che «a qualunque aspettatore resterà sempre cosa oscura» propose il più consueto episodio con Cesare che varca il Rubicone.
In questo frangente, probabilmente, maturarono una serie di disegni volti a convincere l’amministrazione riminese della nuova proposta, tra i quali un grande modello comparso sul mercato antiquario nel 2008. Inizialmente erroneamente identificato come studio per la battaglia di Ponte Milvio, solo successivamente fu riconosciuto e pubblicato da Giulio Zavatta quale il bellissimo modello preparatorio per il sipario del teatro Galli, esposto poi in occasione della seconda edizione della Biennale del Disegno dell’aprile scorso. Un ritrovamento di estrema importanza per l’imminente restauro del sipario, che consentirà un filologico ripristino delle parti più degradate che grazie alla liberalità di Luigi e Adriana Valentini è stato recentemente acquisito dal Comune di Rimini.
Francesco Coghetti eseguì l’opera a Roma ed il trasporto fino a Rimini dell’enorme sipario non fu impresa facile tanto che fu necessario “piegarlo nel mezzo e separarlo dalla frangia inferiore poiché a rotolarlo tutto steso dava una lunghezza maggiore di 15 metri impossibile a svilupparsi nelle acute voltare delle vie”. Il sipario, dipinto a tempera su diciannove lunghe strisce di tela cucite formava infatti una superficie di 14,70 metri di larghezza per 18 di altezza. Dopo lunga attesa, non priva di preoccupazioni, il pittore consegnò solo cinque giorni prima dell’overture del teatro – che avvenne come noto l’11 luglio 1857 con la prima dell’Aroldo di Verdi – il suo telone. Il collaboratore di Coghetti, Vincenzo Paliotti, accompagnò nel suo viaggio da Roma a Rimini il nuovo sipario, ritoccando l’opera nei punti che avevano subito usura durante il trasporto.
Il tema del “passaggio del Rubicone” è molto caro alla città di Rimini ed alle città limitrofe. Nell’800 si era diffuso un importante senso civico che contribuì a superare un certo gusto precedente per temi allegorici. Senso ed orgoglio civico per eventi importanti per le città che ospitavano i teatri. E’ evidente una certa ispirazione del Coghetti a Raffaello Sanzio, per esempio nell’impennata del cavallo che di fatto rappresenta un omaggio al grande pittore rinascimentale. La parte alta dell’opera è l’allegoria del fantasma della città di Roma che ammonisce Cesare per la gravità di quello che sta facendo cioè varcare il “pomerio” con armi. Vi si riconosce con evidenza l’iconografia del “Bellum Civile” (Pharsalia) di Lucano.
Coghetti non partecipò alla “prima”. Il 17 luglio 1857 il gonfaloniere della città di Rimini Guerrieri scrisse a Francesco Coghetti facendo un resoconto della ‘prima’ del nuovo teatro polettiano, e ricordò al pittore che «alla stipata popolazione della Città e delle limitrofe, venne esposto il sorprendente e meraviglioso di Lei sipario», accolto da «reiterati […] applausi e ovazioni ben dovute a V.S. illustrissima». Il sipario riminese di Francesco Coghetti era infatti considerato il più bello e il più costoso telo scenico dell’epoca.
All’inizio dello spettacolo, la tela, come veniva chiamata allora, si alzava dal basso verso l’alto, scoprendo la parte inferiore del palcoscenico. A fine spettacolo si “calava il sipario” dall’alto verso il basso. Solo nel 1923, in seguito alla introduzione della buca d’orchestra, fu aggiunto un sipario in velluto ad apertura orizzontale dal centro verso i lati, come voleva la nuova moda dell’epoca. In un primo tempo il sipario in velluto, aprendosi, scopriva il vecchio telone considerato “di gala”. Poi a poco a poco l’uso del telone venne abbandonato mantenendo esclusivamente il sipario in velluto. Ci sono alcune immagini fotografiche del sipario tra la fine dell’800 ed il 1930 che ne attestano un lento degrado a causa dell’utilizzo. La parte superiore nel 1930 veniva coperta da una mantovana in quanto deteriorata. Detta porzione, per circa tre metri, fu successivamente asportata. Nel dicembre 1937, in nome di Vittorio Emanuele secondo, il Consiglio Comunale di Rimini autorizzò la spesa per il restauro del sipario. Così nel 1938 il restauro venne affidato al professore Enrico Panzini che lascio nel retro della tela la sua firma e la data dell’intervento. Si presume che in questa occasione il professore decise di eliminare i tre metri superiori del sipario giudicandoli non restaurabili. Fu durante la seconda Guerra Mondiale che l’allora teatro Vittorio Emanuele fu danneggiato ed il suo palcoscenico totalmente distrutto, ma il sipario, per quanto non in buone condizioni, fu recuperato tra le macerie dal benemerito custode Aldo Martinini che lo trasportò precauzionalmente nel territorio della Repubblica di San Marino assieme ad altri arredi del teatro stesso. Riportato a Rimini dopo la guerra, il dipinto è rimasto così arrotolato per circa mezzo secolo su di un rullo ligneo nei depositi del Museo Civico di Rimini fino al 1995, anno in cui fu srotolato, per verificarne le condizioni, sotto la supervisione della Soprintendenza e del restauratore Adele Pompili, grazie al contributo della Banca Popolare dell’Emilia Romagna. La restauratrice valutò percorribile la strada del restauro. Poi il sipario fu nuovamente riavvolto per essere stoccato dapprima nei depositi del Museo Civico, successivamente presso l’autoparco in via della Gazzella all’interno di un contenitore ligneo. Il 29 aprile 2016 il sipario fu nuovamente dispiegato per effettuare una serie di indagini conoscitive per definire lo stato di conservazione e valutare le metodologie di intervento più efficaci da adottare nel corso degli interventi di restauro. Si sta oggi ipotizzando la possibilità di recuperare qui tre metri asportati negli anni ’30 per ricostruire le giuste proporzioni originarie. A tale proposito è in corso una valutazione della Sovrintendenza. Le analisi di alcuni campioni hanno consentito di definire il materiale usato dal Coghetti. Si tratta di 19 teli di canapa. Sono stati recentemente analizzati inoltre due frammenti di colore per meglio comprendere la tecnica pittorica. Si deve capire l’intento del pittore. Se volesse eseguire una sorta di grande arazzo con tempera magra, ovvero se intendesse ottenere un effetto più lucido “da galleria”. Le analisi confermerebbero la prima ipotesi: tempera magra. Oggi è il sipario è ricoperto di uno strato biancastro di talco per assorbire la umidità. E’ intriso di muffe. Bagnandolo si vede che il colore riappare e dunque pare si riesca a recuperarlo. Il tessuto presenta strappi specialmente nella parte alta per gli “stess” statici del sostegno dell’intera tela. Vi sono pieghe importanti che sono state provocate dalla permanenza dentro la cassa per decenni e che potranno essere eliminate con trattamenti di umidificazione, calore e pressione. Una fibra di canapa di 200 anni ha perso inoltre gran parte della propria originaria elasticità e pertanto dovrà essere trattata con resine. Si valuta il ricorso ad un’eventuale “foderatura” per realizzare supporto ausiliari che devono necessariamente avere caratteristiche di robustezza e leggerezza per non incrementare sensibilmente il peso del manufatto. Si potrà eventualmente utilizzare la foderatura con fibra di carbonio che pesa solo 200 grammi al metro quadrato.
Il restauro di un manufatto di questo tipo deve inoltre tenere in conto della “rifunzionalizzazione” dell’opera d’arte. In origine il sipario venga sollevato in terza cioè con due piegature. Il meglio sarebbe un sollevamento senza pieghe cioè in prima. Per le dimensioni del teatro di Rimini sarà possibile un sollevamento in seconda cioè con una sola morbida e curvilinea piega in mezzo. Oltre alla ricollocazione come sipario si è anche valutata l’opzione di una collocazione sul fondo del palcoscenico, come scena. A breve termine avverrà la selezione della dita specializzata nel restauro. Dovrà essere selezionata secondo codice appalti, non solo sulla base dell’offerta più vantaggiosa ma anche sulla base del progetto che evidenzi l’impiego della tecnica migliore.