Giovedì 7 aprile 2016 – Dott. Stefano Arduini

Home  /  I nostri incontri  /  Giovedì 7 aprile 2016 – Dott. Stefano Arduini

Bella ed importante serata giovedì 7 aprile al Grand Hotel di Rimini
Gradito relatore l’amico e socio del Club dott. Stefano Arduini che ha tenuto una bella relazione sul tema : “Formazione linguistica e sviluppo economico”.

I tanti soci presenti hanno dimostrato interesse e diverse sono state le domande.

IMG_6425

IMG_6430

I punti salienti della relazione

Secondo un report della Commissione Europea (Europeans and their languages, report di Eurobarometro, European Commission, 2012), l’Italia si trova agli ultimi posti per la conoscenza delle lingue straniere a tutti i livelli della struttura sociale.
In particolare per il grado di effettiva competenza posseduto dagli allievi delle scuole di ogni ordine e grado.
Questo fatto denuncia l’insuccesso dell’azione istituzionale messa in atto dalla scuola e università italiane.
Negli altri paesi le cose sono diverse.
Come emerge dai risultati del progetto Language Rich Europe2, condotto dal British Council, gli altri paesi europei, quelli dell’Europa dell’est o i mercati asiatici emergenti sono aiutati da sistemi formativi che garantiscono una solida formazione culturale e linguistica sia nelle lingue a diffusione internazionale, sia in quelle considerati strategiche a livello commerciale.
La competitività italiana sui mercati esteri risente fortemente di tale limite.
Per fare un esempio guardiamo quello che accade nelle PMI.
I quesiti da porsi sono:
1. Esiste un problema di lingue nelle PMI?
2. Se sì, quanto è rilevante questo problema linguistico per le PMI?
Che la competenza multilinguistica sia una necessità di sopravvivenza per le imprese (soprattutto in periodo di crisi) è testimoniato da un recente studio dell’Economic Intelligent Unit della rivista inglese The Economist.
I principali risultati dello studio sono i seguenti:
1. comunicare e collaborare efficacemente oltre i confini del proprio paese sono elementi critici per il successo finanziario delle imprese con aspirazioni internazionali;
2. le imprese comprendono perfettamente i costi associati a non sviluppare efficacemente al proprio interno e per i propri dipendenti una cultura multilinguistica e multiculturale, ma non fanno abbastanza per vincere questa sfida;
3. i fraintendimenti derivanti dalle differenze culturali sono additati come il principale ostacolo alla collaborazione internazionale.
Un altro studio della regione Lombardia [IRER – Istituto Regionale di Ricerche della Lombardia “Internazionalizzazione, risorse umane e fabbisogno formativo nelle PMI lombarde”] – per quanto non recentissimo e limitato a 300 PMI lombarde impegnate in processi d’internazionalizzazione – identificava la difficoltà nello sviluppo dei processi di internazionalizzazione nella limitata presenza di persone con le competenze necessarie per supportare i processi d’internazionalizzazione, sia commerciali che produttivi.
Anche i risultati dello studio evidenziavano come fossero proprio i problemi di conoscenze delle lingue e dei mercati a provocare tale difetto di competenze.
L’avvento dei social network ha determinato il passaggio dal cosiddetto
”outbound marketing”: quello fatto di brochure e pubblicità, in cui è il proprietario del brand a parlare e la clientela ad ascoltare,
a quello che si chiama “inbound marketing: fatto di blog e contenuti multimediali che alimenta discussioni e conversazioni in cui è soprattutto la comunità potenziale dei possibili fruitori a imporre i contenuti e il proprietario del brand, che userà un tono di servizio, si descrive raccontando storie.
Questo rende i contenuti il perno portante di ogni attività di marketing soprattutto quello che si rivolge ai mercati internazionali.
Tali contenuti, per avere valore, devono essere costruiti in modo da raggiungere in maniera coinvolgente i clienti e richiedono un approccio multilinguistico e fortemente multiculturale.
Si può dire che il problema linguistico (e culturale) delle PMI è un problema non solo italiano ma anche europeo.
Come si diceva all’inizio l’Unione Europea ha riservato da sempre un’attenzione particolare alle competenze linguistiche (si tenga conto che sono più di venti gli idiomi dell’Europa politica) e nell’ultimo decennio ha studiato a fondo il vincolo linguistico nello sviluppo economico delle imprese.
Cito ancora un rapporto della UE: mi riferisco al rapporto ELAN: Effects on the European Economy of Shortages of Foreign Language Skills (Effetti sull’Economia Europea della carenza di competenze in lingua straniera nell’ambito dell’Impresa).
In questo studio la UE segnalava come le imprese Europee perdono numerosi affari a causa della mancanza di competenze linguistiche.
Sulla base del campione, il rapporto stimava che l’11% delle PMI Europee (945,000 imprese) del settore delle esportazioni subiscono delle perdite a causa delle barriere di comunicazione e della mancanza di competenze linguistiche nelle lingue europee e in lingue quali l’arabo, il cinese e il russo.
Le difficoltà non si limitano ai soli aspetti linguistici, ma sono legate soprattutto alle differenze culturali.
Queste differenze possono fare emergere gravi difficoltà (e fallimenti) anche nelle situazioni con cui le imprese hanno maggiore familiarità perché generano inefficacia nella comunicazione.
A dimostrazione di ciò c’è un altro studio europeo (PIMLICO “Report on Language Management Strategies and Best Practice in European SMEs: The PIMLICO Project” studio commissionato dall’Unione Europea, Aprile 2011) svolto studiando a fondo 40 PMI europee:
“selezionate per la loro significativa crescita commerciale ascrivibile proprio alla formulazione e all’uso di strategie di gestione linguistica”.
Anche da questo studio sono emersi risultati interessanti:
La crescita del fatturato è attribuibile all’introduzione di strategie linguistiche e in particolare tre sono le caratteristiche più frequentemente citate che hanno avuto un impatto rilevante sulla crescita di queste aziende:
1. sito web in più lingue non semplicemente tradotto ma localizzato;
2. formazione linguistica del personale;
3. assunzione di collaboratori madrelingua;
Gli elementi comuni a queste quaranta imprese di successo sono:
1. Il multilinguismo: almeno tre lingue, di cui una è l’inglese su cui l’impresa deve avere un elevato livello di competenza;
2. Una visione globale: utilizzare lingue diverse e in parallelo anche sullo stesso paese target, come l’utilizzo della lingua franca specifica oltre alla lingua nativa anche attraverso l’uso di agenti locali;
3. Una strategia d’internazionalizzazione nelle risorse umane.
In particolare è stato fondamentale curare le competenze internazionali (approccio internazionale, competenze multilinguistiche e multiculturali) in tutte le risorse umane aziendali (non solo quelle coinvolte direttamente nel processo d’internazionalizzazione), facendole diventare caratteristica essenziale dell’impresa.
A corollario degli studi l’Unione Europea ha, inoltre, realizzato un sito web “Che affare le lingue!” (http://ec.europa.eu/languages/404_en.htm) per dimostrare come l’uso delle lingue aiuti il successo sui mercati internazionali e fornire supporto al multilinguismo e al multiculturalismo a tutte le PMI che vogliano intraprendere processi d’internazionalizzazione.
Possiamo dire dunque sono ormai disponibili studi, raccomandazioni e strumenti per migliorare la cultura multilingue nelle PMI.
E allora perché la situazione è ancora in parte problematica?
Perché a fronte di una pressione competitiva e di crescita verso l’internazionalizzazione dell’impresa questa ha ancora difficoltà ad attivare efficaci strategie multilinguistiche e multiculturali?
La verità è che anche le competenze linguistiche vivono la criticità nelle imprese di tutte le altre competenze: ovvero è sempre più difficile avere la persona giusta al posto giusto (Skill mismatch o “discrepanza delle competenze”).
Questo è un problema particolarmente critico in Italia.
L’OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development, in italiano OCSE,) verifica a intervalli regolari lo skill mismatch nei paesi aderenti.
Dalle sue ricerche si evidenzia appunto il problema italiano.
Le conseguenze dello skill mismatch sul sistema economico sono ben descritte dall’OCSE:
1. da una parte il sistema d’istruzione non riesce a sostenere i bisogni formativi correnti delle imprese in modo efficiente e
2. dall’altra, mancano i laureati nelle posizioni che guidano la crescita della produttività.
Quindi le aziende non riescono a ad avere nella loro forza lavoro l’insieme delle competenze necessarie a sostenere crescita e innovazione.
Questo ad esempio è ciò che è successo in Italia dove la quota di laureati nelle discipline tecniche non è di molto cambiata negli ultimi 50 anni rendendo difficile alle imprese di spostare le proprie attività produttive verso segmenti più innovativi.
Purtroppo la formazione linguistica è quella che si adatta peggio alla realtà aziendale: richiede più tempo, lavoro e impegno da parte di personale chiave e in una PMI il tempo del personale chiave è spesso un ostacolo insormontabile alla realizzazione di percorsi formativi efficaci.
Infatti, nonostante i piani specifici per l’apprendimento delle lingue straniere siano circa il 10% del totale e coinvolgano il 3,5% dei lavoratori (impegnando circa il 15% delle risorse investite, a dimostrazione della maggiore complessità e durata dell’apprendimento delle lingue), essi sono in calo rispetto al passato.
Tuttavia esistono oggi nuovi strumenti di formazione linguistica.
Ritengo che questi strumenti permetteranno da un lato alle imprese di raggiungere più semplicemente i propri potenziali clienti internazionali e dall’altro, stimoleranno la crescita delle competenze dei lavoratori, imprenditori e manager attraverso i numerosi strumenti di apprendimento a distanza che, uniti a incontri faccia a faccia possono:
1. ridurre il vincolo del tempo necessario all’apprendimento delle lingue;
2. creare più opportunità d’incontro e collaborazione, oltre che di mobilità, all’estero;
3. garantire una più efficace acquisizione delle competenze necessarie all’internazionalizzazione.
Perché tutto ciò possa avvenire, però, è necessario rafforzare la cultura del multilinguismo e della mobilità di studio nelle giovani generazioni, soprattutto nel periodo d’istruzione e alta formazione, e questa è una necessità politica che riguarda ovviamente tutti, non solo le imprese e i propri dipendenti.

CURRICULUM STEFANO ARDUINI

Stefano Arduini si è laureato in Lettere all’Università di Bologna e ha conseguito il perfezionamento in Linguistica alla Scuola di Perfezionamento in Scienze Linguistiche dell’Università di Pisa.

È professore di Linguistica generale al Dipartimento di “Scienze della Comunicazione, Studi Umanistici e Internazionali: Storia, Culture, Lingue, Letterature, Arti, Media” dell’Università di Urbino, dove insegna dal 1986. È membro del Comitato Scientifico della Fondazione Carlo e Marise Bo della stessa Università.
Ha insegnato Linguistica generale alla Università degli Studi Internazionali di Roma, all’Università di Modena e Teoria dei linguaggi all’Università di Roma Link Campus.

È Presidente della Fondazione Universitaria San Pellegrino (Misano Adriatico, Rimini).

È membro dello Executive Board e Senior Advisor del Nida Institute (Philadelphia).
È condirettore della Nida School of Translation Studies.
È membro del Committee of Translation Policy (COTP) della United Bible Societies.
Dal 2005 è profesor onorario alla Universidad Nacional San Marcos di Lima (Perù) dove è stato anche profesor visitante nel 2004.
È stato profesor visitante alla Universidad di Alicante e alla Universidad Autónoma di Madrid in Spagna.
Nel 2012, su proposta del Consiglio Direttivo, e stato nominato Miembro Honorario de la Asociación Latinoamericana de Retórica.
Dal 1997 al 2007 è stato membro del Comitato Organizzatore della Summer School del Leuven Research Centre for Translation, Communication and Cultures dell’Università di Lovanio (Belgio).
È membro del Consiglio del Centro di Documentazione e Ricerca sugli approcci semiotico-testologici alla multi- ed intertestualità dell’Università di Macerata fondato da Sándor János Petöfi.

È direttore della collana Polus Rethorica della casa editrice Edizioni di Storia e Letteratura (Roma). È direttore della collana Linguistica e Traduzione della Casa editrice Libreriauniversitaria.it Edizioni (Padova). È membro del Comitato Scientifico della collana L&L-LINGUA E LINGUE, Loescher editore, Torino.
Membro del Comitato Scientifico della collana Quintiliano, Retórica y Comunicación (Università della Rioja, Spagna).
È membro della direzione ed uno dei fondatori della rivista Translation (St. Jerome, Manchester, UK).
Membro del Consiglio di redazione della rivista Hermeneus (Università di Valladolid, Spagna) e della rivista Tonos – Revista de Estudios Filólogicos (Università di Murcia, Spagna).
Membro dell’Editorial Board della rivista Analisi Linguistica e Letteraria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
È stato membro del Comitato Scientifico della rivista Logo (Università di Salamanca, Spagna) e della rivista Journal of Jordan Translator Association (Università di Irbid – Giordania).

Dal 1980 al 1994 è stato professore di Letteratura italiana nei Conservatori di musica di Rovigo (1980-81), Ferrara (1981-82), Como (1982-83), Venezia (1984-1990) e Parma (1990-1994).

Dal 1985 al 1995 è stato membro del Consiglio Direttivo dei Musei e Biblioteca Oliveriani di Pesaro.
Dal 1995 al 2000 è stato membro del Consiglio d’Amministrazione di Arancho s.r.l.
Dal 2000 al 2005 è stato membro del Comitato Scientifico per la Cultura e lo Spettacolo della Regione Emilia Romagna.
Dal 2010 è membro del Consiglio d’Amministrazione della Fondazione Universitaria San Pellegrino.
Dal 2014 è membro del Consiglio d’Amministrazione della Fondazione Karis