Conviviale del 16 Novembre impreziosita da un originale approfondimento di un tema caro al nostro territorio.
Ospite e Relatore il Prof. Roberto Balzani, professore ordinario di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Beni culturali dell’Università degli Studi di Bologna, Sede di Ravenna, notissimo personaggio anche in quanto Sindaco della città di Forlì dal 2009 al 2014. Laureatosi nel 1985 presso la Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” dell’Università degli Studi di Firenze, è stato borsista dell’Istituto Universitario Europeo dal 1986 al 1989 (Dipartimento di Storia e Civiltà) e poi, dal 1992, ricercatore di Storia contemporanea presso la Facoltà di Scienze Politiche di Firenze. Trasferitosi a Bologna, dal 1° novembre 1995 ha lavorato presso la Facoltà di Lettere, poi presso la Facoltà di Conservazione dei beni Culturali, ed ha svolto attività di ricerca presso il Dipartimento di Discipline Storiche. Dal 1° novembre 2008 al giugno 2009 è stato preside della Facoltà di Conservazione dei beni Culturali. Formatosi alla “scuola” di Storia contemporanea del “Cesare Alfieri” di Firenze, guidata da Giovanni Spadolini e da Luigi Lotti, prevalentemente incentrata sullo studio dei partiti, delle maggioranze parlamentari e delle elezioni in Italia fra ‘800 e ‘900, ha poi ha indirizzato il proprio lavoro in varie direzioni: dalla storia delle infrastrutture urbane alla storia delle amministrazioni locali e dei servizi.
Quanto conta la storia nell’identità della romagna? Questo il tema centrale dalla relazione di Balzani. Il vero regionalismo del nostro paese si limita a poche realtà per lo più di confine: Sicilia, Sardegna e zone a forte individualità linguistica quali l’Alto Adige ed altre realtà simili. La Romagna ha comunque importanti connotazioni. Il nome “Romagna” gronda di storia. Dobbiamo fare riferimento alla Roma di oriente con capitale Costantinopoli. Uno spazio fuori dal mero territorio incentrata sui Bizantini tra il sesto e il settimo secolo dopo Cristo. I Bizantini colti usavano il greco antico per parlare e si definivano “οι ρωμαίοι”, “i Romani” nella traduzione dal greco. Cercavano di recuperare un territorio che era la culla della civiltà romana in epoca delle invasioni barbariche dei Goti e dei Longobardi. C’era una idea culturale della cittadinanza non tanto geografica. La civiltà romana aveva la capacità di permeare di cultura i territori, vedi la splendida Palmira salita alle recenti cronache anche per i noti tristi eventi. Dove c’era il “civis romano” c’era Roma. Tutto ciò fece si che il nome “Romagna” emerse all’inizio dell’ottavo secolo quando il popolo “predatore” dei Longobardi volle definire una certa zona di influenza. La Romagna era dunque la “Terra di Oriente” ed i suoi abitanti i Romani di Oriente.
I confini della Romagna si estendevano fino a Modena da un lato e fino al Po dall’altro, fino all’importante contrazione avvenuta in epoca Comunale quando all’interno delle più importanti città di questa Romagna sia si creano degli studi di intellettuali per l’approfondimento principalmente di materie giuridiche. Nasce intorno a Bologna una cultura bolognese ed a Ferrara una cultura ferrarese di una “elite” di intellettuali che non hanno bisogno della “romanità” per identificarsi. I piccoli comuni privi questo tipo di “elite” di intellettuali non hanno al contrario la forza di emanciparsi da questo mito della romanità sulla base di una propria nuova identità e peculiarità culturale. Ci racconta tutto ciò Dante nel quattordicesimo del purgatorio ove parla della grande Romagna dell’ Esarcato. I romagnoli cominciano a percepirsi come tali anche grazie alla pubblicazione “Usi e pregiudizi dei contadini della Romagna” di Michele Placucci. Si tratta di una raccolta sulle tradizioni popolari della Romagna. L’opera, uscita nel 1818, è considerata il primo studio sul folclore in Italia. Placucci era un funzionario comunale ed attinse a piene mani nel materiale a stampa (notificazioni, proclami, circolari) del periodo napoleonico. In particolare, nel 1811, durante il periodo napoleonico, la Direzione Generale dell’Istruzione Pubblica del Regno italico promosse un’inchiesta sulle usanze nelle campagne forlivesi. Dopo la restaurazione del dominio pontificio, Placucci raccolse i risultati dell’inchiesta e li pubblicò nel sopra citato volume.
(lick qui sotto per leggere “Usi e pregiudizi dei contadini della Romagna”.
placucci_usi e pregiudizi)
Più vicino ai nostri giorni, nella seconda metà del novecento, l’egemonia della cultura romagnola si sposta da Forlì e Cesena a Rimini, Santarcangelo e Savignano con l’idea di Tonino guerra e di Raffaello Baldini di usare il dialetto romagnolo per parlare ironicamente della modernità.