Sabato 31 agosto 2019 – Uscita in trabaccolo

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Bellissimo pomeriggio sabato 31 agosto per un piccolo ma motivato gruppo di valorosi soci del Club.

Ci siamo trovati sul porto alle 17 e ci siamo  subito imbarcati su due stupendi trabaccoli del primi anni del 900 appartenenti alla associazione” Vele al Terzo” di Rimini.

Veramente interessanti i racconti dei due capitani che ci hanno parlato della storia del trabaccolo riminese e della vita sul mare tra 800 e 900.

Estremamente suggestivo l’aperitivo al tramonto con i soci soddisfatti e coinvolti in una esperienza unica e particolare.

Un particolare grazie al socio Andrea Musone che ha organizzato il tutto e ai componenti della associazione “Vele al Terzo” che ci hanno accompagnati.

 

Il trabaccolo è la navicella tipica del Mare Adriatico, che troviamo presente in tutti i porti dalla Puglia a Venezia, dagli approdi dell’arco costiero settentrionale all’Istria per scendere lungo la Dalmazia fino all’Albania. L’inconfondibile tipo è rintracciabile già nel 1700 ma si è perfezionato e sviluppato nel corso del 1800 soppiantando gli altri cabotieri per regnare sovrano fino ai giorni nostri cedendo infine lo scettro ai trasporti per via terrestre su ruota gommata ormai dominante.

È una imbarcazione quanto mai robusta con carena arrotondata , chiglia e paramezzale, prua e poppa piene, interamente pontato, con capace stiva centrale. Al centro una grande boccaporto presenta il bordo tenuto alto, a prova d’acqua, dato che lo scafo può portare tanto carico fino ad avere l’acqua in una coperta tenuta sensibilmente a schiena d’asino. Due alti alberi alzano ciascuno una grande vela al terzo con pennone alto e basso e con cadute più lunghe rispetto alle vele delle altre barche adriatiche, di superficie pressoché uguale e disposte una su di un lato e l’altra sul lato opposto, disposizione detta “a trabaccolo” che consente l’andatura “a farfalla” con il vento in poppa. Nei primi tempi gli alberi portavano una vela quadra di gabbia , di cui sono rimasti a volte, per tradizione, gli alberetti. Una lunga asta di bompresso porta un polaccone, che nella permanenza in porto viene tenuta alzata per evitare un inutile ingombro fuoribordo. Da ultimo, dopo la prima guerra mondiale, il trabaccolo viene motorizzato consentendo con ciò di mantenere la sua presenza ancora in attività anche se non più in posizioni di supremazia.

La pitturazione dello scafo è sobria, per lo più chiara. Ogni cura decorativa è riposta nella “zoia”, la travatura orizzontale di raccordo in corrispondenza della parte interna del mascone (prua) e rispettivamente di poppa. La superficie è spesso intagliata con motivi floreali, o zoomorfi o antropomorfi colorati vivacemente. Vi compare spesso la data della costruzione. Le vele sono colorate uniformemente in giallo ocra o mattone e raramente decorate com’è il caso invece del bragozzo. Elemento decorativo caratteristico, inconfondibile, che non può mancare, è dato da due grandi occhi apotropaici stilizzati che fanno spicco sul mascone, sul capodibanda del quale compaiono sovente due insellature raccordate con la ruota di prua rientrante alla sommità. Occhi variamente colorati quali distintivo di ciascun armatore.

La portata è variabile a seconda delle dimensioni dello scafo e viene inizialmente misurata in “vagoni”. Gli esemplari più grandi non superano la portata di 15 vagoni (150 tonn.). Il trabaccolo da carico non va confuso con la versione da pesca, del quale ripete le forme ma alleggerite, meglio conosciuto come “barchet” e diffuso nelle Marche e nella Romagna. Si può ritenere derivante dal trabaccolo, o un suo adattamento, anche il pielego che porta a poppa in luogo della vela originaria una randa accompagnata, ma non sempre, dalla modifica strutturale della poppa stessa.