ARIMINUM 167:  Anno XXIX – N. 2 – Marzo – Aprile 2022

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Candore, di Nuzzi Ivancich Chierego (foto di Alba Silvana Canali)

Sommario

  • Nuzzi Ivancich Chierigo di Alessandro Giovanardi
  • Le case dei Giangi di Giovanni Rimondini
  • Bianchi e i moti del 1831 di Andrea Montemaggi
  • Lo sciamito di san Giuliano di Carlo Valdameri
  • La processione del 17 maggio 1914 di Alessandro Catrani
  • La Via Ariminensis in alta valle di Massimo Gugnoni
  • Giorgio Ghezzi di Gianluca Riguzzi
  • I colori della Pagoda Cinese di Oreste Ruggeri
  • Albergo in condominio di Nicola Gambetti
  • Graziano Sangalli di Franco Pozzi
  • I fratelli Ricci, organari di Lisetta Bernardi
  • Il mercato di piazza, prima e dopo Giulio Cesare di Manlio Masini
  • Paolo Wolfango Cremonte di Guido Zangheri
  • Ritratti di gatti indimenticabili di Anna Maria Cucci
  • Canzoniere: Giuliana Rocchi di Sabrina Foschini
  • Visioni – Roba di Montemaggi, Ballestracci

L’Editoriale di Alessandro Giovanardi

Enjoy the silence

«Dobbiamo essere pronti a cancellare tutti i rapporti con la Russia, anche quelli culturali e sportivi», leggo su una’autorevole pagina istituzionale della mia Regione: sorrido e rabbrividisco. Sorrido, perché ciò che è presentato come un imperativo politico-morale è già tristemente superato dai fatti. Rabbrividisco, invece, per il modo inutile e insipido con cui s’intende dare il supporto (questo sì sacrosanto) all’Ucraina invasa, massacrata e offesa. Altrove vedo che si mettono al bando Dostoevskij, Florenskij, Tchaikovskij. Sì la cultura russa, tutta insieme, senza distinzioni – una cultura che, dalle origini altomedievali fino a Gogol’ e all’Achmatova, è in parte non piccola fatta da donne e uomini dell’Ucraina (fondatori di cattedrali e monasteri, asceti e mistici, filosofi, scienziati, poeti, scrittori, architetti, pittori, politici). Una cultura che a volte ha subìto le proscrizioni zariste, i gulag sovietici, e spesso subisce, fino alla morte, l’arroganza dei nuovi potenti. Una cultura che vede nell’Ucraina violentata un proprio organo ferito a morte, uno stupro, una mutilazione, se non l’assassinio del padre o della madre. Viviamo in un mondo secolarizzato, completamente incapace di senso religioso e di intendere l’«argomento» delle cose «non parventi» (Dante, san Paolo), ma sembriamo tutto tranne che laici: al contrario siamo ossessivamente bigotti e del bigottismo peggiore, bisognosi di dualismi, di certezze, non di verità, senza sfumature, senza complessità. L’Italia ha perduto il suo primato nella diplomazia (che è cultura e pensiero), si accoda agli altri, finge eroismi: e latita lì dove potrebbe essere il luogo che ospita, fa incontrare (e a volte salva) i filosofi, gli scrittori, i musicisti, gli artisti, le donne e gli uomini di scienza dei due paesi; e (perché no?), gli eroi dello sport. Forse non è troppo tardi per toglierci l’elmetto che indossiamo con malagrazia e riprendere un destino storico di mediazione faticosa e sapiente e di pensiero che è sempre il vero antidoto all’ideologia e alla propaganda. Non è tempo di fanatismi, di aut aut, di pensieri impulsivi, di marsigliesi. È tempo di misura, di studio, di pietas, di ascolto e di stoicismo. E di silenzio se non si hanno il vigore a doppio taglio e la saggezza di un pensiero giusto e all’altezza di una tragedia che, come quella dell’ex Jugoslavia, è tutta nostra