Clicca qui per leggere ARIMINUM 168 Anno XXIX – N. 3 – Maggio – Giugno 2022
Mariù, una fanciulla lieve e gentile come il suo nome, figlia di una coppia di amici, consulta spesso con la madre un prezioso volumetto che anch’io ebbi in dono: Il libro delle parole altrimenti smarrite di Sabrina D’Alessandro (Rizzoli, 2011).
Ogni lemma, inusitato e godibile, vi è accompagnato da una breve spiegazione o citazione che lo contestualizza.
Da qui apprendo che imparavolato, significa ciarliero e verboso. In tutta onestà lo applico a me stesso come sbagliòne (per i refusi che contraddistinguono i miei scritti, consegnati spesso in ritardo e in fretta). E così sciolùzzolo, cioè saccentuzzo: lo palesa quanto segue.
Difatti, Mariù e le sue letture mi ispirano una parola nobile (che è anche una virtù teologale), benchè di uso comune: speranza.
Sì, la speranza che le parole strane e ricercate, custodite nella nostra storia letteraria e piene di sapore e ingegno, possano arginare, almeno nello spirito acuto di una bambina, lo stupidario del linguaggio politicamente corretto a cui ci costringono persino bandi, concorsi, gare.
E’ il linguaggio inclusivo, un aggettivo tanto ben intenzionato quanto noièvole che ancora per poco non si azzarda a obbligarci ad asterischi e schwa per consolare i poveri di spirito (di stile, di eleganza, di cultura vera), colmi di sensi di colpa politica e sociale ed èsprit de revanche. Come se la giustizia potesse passare attraverso il programmato scempio della lingua e della bellezza.
Che gioia queste parole difficili e scorrette, taglienti e irriguardose che con sprezzatura ci permettono di guardare al mondo e, soprattutto a noi stessi. Parole come antidoti alla neolingua stoltificante, fatta di aggettivi e sostantivi abusati (inclusivo, appunto, col suo opposto esclusivo, peggio ancora resiliente o, rabbrividisco, bio, green, e ancora l’usurato equo-solidale), divenuti così burocratici e ministeriali, utili tutt’al più a puntellare il vuoto intellettuale di carrieristi della politica o a celare le intenzioni di comitati d’affari “ecologici”, da possedere lo stesso senso di be bop a lula o obladì obladà.
Ma molto meno divertenti. Alessandro Giovanardi