Le relazioni internazionali

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Relazione di Gerardo Filiberto Dasi, Segretario Generale del Centro Internazionale Ricerche "Pio Manzu" – www.piomanzu.com
Prima parte
Signori Presidenti, illustri presenti,
Vi sono molto grato per l'opportunità che mi avete offerto di partecipare ad una seduta conviviale del Rotary Club Rimini e del Lyons Rimini-Riccione Ost, sodalizi prestigiosi dei quali ho sempre ammirato la missione sociale e culturale, lo stile integerrimo di comportamento e l'autorevolezza dei suoi membri.
È mio piacere comunicarvi di essere socio onorario del Lions Club del Montefeltro e di essere stato insignito del titolo di Paul Harris Fellow dalla Fondazione Rotary International.
Service come il Rotary e il Lyon si pongono come presidio civile, luogo dove lo spirito di servizio delle professioni e del lavoro viene correttamente esaltato ai fini della crescita sociale, dello sviluppo dell economia e della maturazione culturale.
Tale ruolo è tanto più importante in un momento di difficile congiuntura del Paese, quando imprese e competenze sono messe a dura prova dal prolungarsi di un clima d'incertezza che non giova agli investimenti e al commercio internazionale. Vogliamo augurarci anche stasera che le avvisaglie di una ripresa, più volte annunciata e più volte rinviata, si concretizzino realmente entro il prossimo 2004.
Sono stato invitato per portarvi la mia personale testimonianza alla guida del Centro internazionale ricerche Pio Manzù, e non intendo sottrarmi a questo obbligo. Consentitemi, però di inquadrare questo mio intervento sull'organismo che mi onoro dirigere del quale, unitamente ad alcuni illustri studiosi, sono stato il fondatore nel lontano 1969.
Nel settembre 1992, l'Istituto ha dato alla luce un volume dal titolo La cultura della previsione che ho il piacere di omaggiarVi unitamente agli altri esposti in questa sala.
È il n. 100 della collana Strutture Ambientali, il quale ripercorre i momenti salienti dei primi venti anni di storia del Centro Pio Manzù, contraddistinti dalle sue manifestazioni pubbliche.
Cultura della previsione è lo slogan che racchiude il senso generale dell'operare del Centro, la sua missione culturale e scientifica. In breve: prefigurare gli scenari futuri dello sviluppo umano, economico e politico, indagando fenomeni e avvenimenti sotto la lente della geopolitica e della geoeconomia.
Ma fare previsione, a nostro avviso, vuol dire anzitutto essere capaci di discernere l'immaginazione dalle probabilità. Da qui la scelta di coinvolgere nell'attività dell'Istituto personalità al massimo livello di responsabilità in tutti i campi dello scibile e del quotidiano: scienziati, uomini di governo, imprenditori, economisti, sociologi, futurologi, ovvero tutti coloro che per la qualità della loro azione si distinguono nelle scelte nodali che determinano il cammino dei popoli, verso il progresso civile e culturale, ancora prima che economico e politico.
Inizialmente, l'attività del gruppo fondatore fu legata ai fermenti culturali della prima metà degli anni 50: le arti visive, l'urbanistica, le forme dell'ambiente umano, furono i capisaldi di un'azione che si configurò, soprattutto, come cenacolo di promozione e riflessione delle avanguardie artistiche nel mondo.
Personalità come Lionello Venturi, Giulio Carlo Argan, Gillo Dorfles, Thomas Maldonado, Umbro Apollonio e molti altri accolsero favorevolmente la nostra idea di tracciare le nuove frontiere dell'espressione artistica.
Non posso qui tacere per legittimo orgoglio che il gruppo di Verucchio scavò le fondamenta per una riflessione a tutto tondo sull'arte mondiale quando ancora circoli accademici si attardavano sui canoni vetusti di una ricerca artistica che i tempi, ormai, abiuravano.
Già nel 1963 portai a Rimini, poi a Firenze, a Venezia, a Ferrara e Reggio Emilia le opere dei pittori fuoriusciti dalla Spagna e una personale di Picasso con opere di atelier mai viste prima in Italia. Nello stesso anno a San Marino, organizzai la Biennale Oltre l'informale, che divenne, l'anno successivo, la Biennale di Venezia. Verucchio, sebbene costituisse un luogo periferico, sconosciuto a molti, divenne un riferimento per numerosi critici e operatori dell'arte e del design.
Le Biennali d'arte e i Convegni internazionali dei Critici, Artisti e Studiosi d'arte, sono ancora oggi ricordati come una fase di svolta nella storia culturale dell'Arte italiana ed internazionale. Colgo l'occasione per annunciarvi che entro il 2004 saranno realizzati a cura dell'editore Umberto Allemandi, due volumi che raccolgono l'attività di quegli anni, allo scopo di consegnare alla storia un periodo dell'arte italiana sul quale oggi non esiste letteratura. Allemandi con Skirà è considerato il più grande editore d'arte a livello internazionale. I volumi di cui vi parlo sono infatti molto attesi da Università, Accademie di Belle Arti e studiosi della materia.
In ogni caso, è bene sottolineare che gli anni 50 e 60 furono tempi di profonda metamorfosi politica ed ideologica. L'irruzione e l'affermazione dei valori e della coscienza del movimento operaio, la protesta sociale, misero a dura prova la dialettica culturale, chiamata a misurarsi con le necessità di un sapere sempre più diffuso e partecipato, nelle scuole e nelle università.
Avvenimenti che tutti conosciamo, che hanno segnato un profondo cambiamento del modo di vivere e leggere la realtà del XX secolo. Il Centro Pio Manzù nasce dalla consapevolezza di questo mutamento: la dimensione internazionale dei problemi per esempio ambientali, uno dei primi argomenti toccati con scientificità e passione dal Pio Manzù evocava scelte di più ampio respiro, ed implicava il coinvolgimento di interlocutori politici e di governo, di associazioni, movimenti d'opinione e del mondo dell'industria. Indagando queste problematiche, il Centro Pio Manzù s'imbatté ben presto in grandi questioni dalle quali dipendeva l'equilibrio dei rapporti internazionali, tra i blocchi contrapposti, tra Est ed Ovest, le prospettive della pace e della guerra, degli armamenti e del possesso delle fonti energetiche, vedi il petrolio.
I primi anni dell'attività di studio furono caratterizzati da una vivace inclinazione alla ricerca tecnologica e alla rivelazione di nuovi rapporti tra l'uomo, la macchina e l'ambiente. Vorrei qui ricordare che nel lontano 1975 il Centro realizzò, con la collaborazione tecnica della FIAT, un prototipo di auto sicura, largamente anticipatore delle soluzioni di sicurezza oggi adottate sulle autovetture in circolazione, come per esempio l'airbag, e ben altre 4 ricerche tra cui quella su I fastidi occulti dell'abitacolo dell'automobile.
Troverete il progetto illustrato nel fascicolo 25 della collana Strutture Ambientali sopra quei tavoli.
Per un'intera fase la ricerca fu dedicata all'ergonomia applicata nella vita quotidiana e all'ambiente lavorativo, offrendo a mille problemi pratici, soluzioni davvero eccezionali per l'epoca.
Il supporto alla ricerca provenne da esperti della statura di Herbert Ohl, ultimo Rettore della Hochschule für Gestaltung di Ulm erede della Bauhaus, Herbert Lindiger, Theo Crosby, Alan Fletcher e dai loro gruppi di studio di Darmstadt e Londra.
L ergonomia è la scienza che studia il modo per migliorare soprattutto il luogo e il posto di lavoro.
Le abitazioni, l'organizzazione urbana, il traffico metropolitano, l'umanizzazione delle macchine, furono oggetto di altrettante ricerche e sperimentazioni.
Si è sempre cercato di promuovere il progresso e, soprattutto, di dare input qualificati all'industria, attraverso consulenze non generiche, ma veri e propri studi originali sul campo.
Due esempi: un congresso, cui presero parte i massimi esperti cecoslovacchi di ergonomia; ed alcune ricerche sull'inquinamento acustico. Cito quella commissionata dal Gruppo SCM che consentì a questa azienda, leader nel mondo per la produzione di macchine utensili per la lavorazione del legno, di ottenere un grande successo di vendite all'Interbimal, con la presentazione di una nuova tipologia di macchine a ridotta emissione sonora.
Un altro merito di questa disciplina, allora ancora sconosciuta, fu quello di suggerire la sostituzione dei tradizionali capannoni di tipo geometrizzante con fabbricati ad arco voltaico. La nuova copertura serviva ad evitare che i rumori prodotti dai macchinari risalissero verso l'alto per poi ricadere a terra con disastrose conseguenze per gli operai addetti che accusavano casi di sordità e sempre più manifestavano il loro disagio con fenomeni di assenteismo.
Il Ministero dell'Agricoltura – allora si chiamava così – commissionò al Centro Pio Manzù alcune ricerche per l'identificazione, la prevenzione e il monitoraggio dell'inquinamento causato dai prodotti agrochimici. I due volumi (sempre a Vostra disposizione su quei tavoli), rappresentano l'unica letteratura di queste proporzioni mai realizzata in materia. Lo studio esplora i meccanismi di dispersione dei prodotti agrochimici nell'ambiente ed il loro effetto su vari ecosistemi acquatici e terrestri. Un altra ricerca straordinaria è la: Valutazione dell'Impatto ambientale determinato dalle grandi strutture di accumulo o derivazione dell'acqua. Ebbene, se questo volume, che all'epoca fu distribuito a governi e agli organismi competenti, fosse stato consultato e studiato approfonditamente, il nostro paese oggi non sarebbe ridotto ad un colabrodo.
Quando ancora l'immagine aziendale era patrimonio di pochi guru delle comunicazioni, il Centro già sistematizzava l'argomento, prefigurando come in una realtà virtuale il futuro di alcune scelte tecnologiche. Quest'ansia anticipatrice non ha mai scavalcato le reali esigenze della committenza, composta da primari gruppi industriali quali, appunto, FIAT, Olivetti, Montedison, CNR, nonché molti ministeri ed enti pubblici e privati. Termino su questo punto ricordando che hanno operato ed in alcuni casi ancora operano per il Pio Manzù gruppi di lavoro a Boston, Mosca, Londra e Darmstadt.
Fino alla metà degli anni 70, l'Istituto si occupò dei rapporti con il mondo arabo, ritenuto dall'Occidente un coacervo di problematiche ma anche di straordinarie opportunità che sarebbe troppo lungo qui elencare.
Dopo questa fase, che fu segnata all'interno delle Giornate di Rimini da un fitto dialogo tra Europa e Medio Oriente, l'interesse si estese sempre di più al complesso dei rapporti Nord-Sud, alla questione nodale del soddisfacimento delle esigenze primarie di sviluppo dei Paesi svantaggiati.
Un periodo lungo di dibattiti e ricerche, trasferiti in altrettanti volumi di livello, di contatti con personalità via via più influenti che significarono pubblicamente la funzione svolta dall'Istituto, il quale ottenne dalle Nazioni Unite lo status di Organo consultivo permanente. Così avvenne poi anche con l'Unesco, l'Unido di Vienna ed altre istituzioni di livello mondiale.
Sotto i riflettori della televisione, del mondovisione, e della stampa, le Giornate riminesi assunsero un ruolo sempre più importante: non posso negare che esse hanno costituito una vetrina di eccezionale prestigio, al punto che la richiesta di presenziare diventò in talune occasioni addirittura ossessiva. Molti leader della politica e dell'economia ebbero la percezione che si trattasse di un evento di straordinaria unicità per il nostro Paese.
Voglio qui subito fugare un possibile dubbio agli amici del Rotary e del Lyon: il Centro Pio Manzù ha avuto tra gli esponenti del suo Comitato Scientifico personalità di governo di primissima grandezza, ma diciamolo pure ora non più. Mai e poi mai l'Istituto è stato infatti gestito, amministrato o diretto da questi personaggi. Questa totale autonomia ci ha consentito negli anni passati (1992) di prendere le distanze da alcuni di loro senza conseguenze per il Centro. E' in questo spirito libero e autonomo consentitemi di dirlo che risiede il valore ideale e morale del Pio Manzù: luogo di dialogo aperto a tutte le componenti ideali, nazionali ed internazionali, svincolato da ogni consorteria politica, l'istituto può menare vanto della sua trasparenza ed onestà di conduzione.
Queste specifiche condizioni ci hanno permesso di ospitare nella stessa tribuna congressuale esponenti di partiti avversi, rappresentanti del fronte gorbacioviano e seguaci di Eltsin, arabi e palestinesi, russi e americani, ben prima che cadesse il Muro di Berlino.
Rivendicare questa autonomia, sia chiaro, impone un prezzo non poco elevato: quello di dover costantemente rincorrere, in una fase congiunturale sfavorevole, i finanziamenti e le sponsorizzazioni, da conquistare con la sola arma del nostro lavoro e dell'autorevolezza acquisita in tanti anni di attività, fornendo in cambio un concreto ritorno di immagine ai partners e alla città, per un periodo di 4 mesi almeno, ogni anno.
Quest'opera si è fatta molto difficile, ma non demordiamo. Ci sorregge la speranza di trovare ancora stima e fiducia soprattutto nel mondo dell impresa, dove le ricerche, gli studi e gli interventi del Pio Manzù sono stati apprezzati per il valido contributo scientifico.
Dalla metà degli anni 70, il Centro si è votato all'analisi geopolitica e geoeconomica. La geopolitica ha sorretto l'analisi strategica delle grandi potenze occidentali per tutta la fase della Guerra Fredda. Il confronto tra i due blocchi militari-industriali poggiava sulle cosiddette Aree d'influenza, da cui poi tante guerre come quella in Corea, nel Vietnam, in Afganistan ed ora in Iraq.
Caduto il Muro di Berlino, finita la spinta propulsiva del socialismo sovietico sotto l'onda della perestrojka di Gorbaciov, il pericolo di un confronto nucleare totale, di una Terza Guerra Mondiale, si è allontanato.
È vero: esistono ancora rischi incombenti a poche migliaia di chilometri da questa sala, dove si sta consumando un terribile dramma che potrebbe estendersi certo. Ma occorre riconoscere che la possibilità di uno scontro tra potenze si è obiettivamente assottigliata.
È nostra convinzione che oggi le sfere d'influenza, le decisioni strategiche, abbiano una matrice comune nell'economia globale, nei rapporti tra le grandi aree geoeconomiche del mondo. Ormai occorre parlare di scomposizione delle antiche divisioni geografiche.
Quello che una volta era il corridoio balcanico, linea di confine tra i due mondi, capitalista e socialista, oggi non è più. Contaminazione politica e culturale, etnie e movimenti demografici, ridislocazione dei baricentri dell'influenza economica, questi sono citati a caso alcuni dei termini dell analisi odierna del Centro Pio Manzù.
Più ancora, negli ultimi anni, la ricerca del Centro si è focalizzata sui temi della globalizzazione, dell'evoluzione del mercato mondiale (non distinta dalla responsabilità etica), della valutazione ecologica dello sviluppo umano, del diritto dei popoli, di tutti i popoli, di accesso alle ricchezze del pianeta.
Abbiamo perciò dedicato le più recenti edizioni del nuovo millennio alle geografie umane del dialogo, al concetto di nuova cittadinanza terrestre, ai limiti e alle contraddizioni dell'attuale modello di sviluppo, alla ricerca delle vie e dei mezzi per un clima di maggiore equità nelle nostre società, che mai come oggi hanno bisogno di ritrovare la perduta saggezza per essere davvero comunità della vita su questo pianeta.
Signori Presidenti, cari amici, non voglio intrattenervi oltre sulle attività del nostro istituto, desidero perciò ribadire alcuni concetti: siamo in una stagione nuova e appassionante dei rapporti internazionali, non solo sul piano economico. La crisi che si dava per battuta, dura più del previsto. Il nostro piccolo ma deciso contributo va nella direzione di affiancare i grandi centri decisionali internazionali con analisi critiche fuori dagli schemi e dagli obblighi di governo.
Il cammino verso il futuro mi si conceda l'iperbole è ancora lungo. L'Unione Europea è ancora in formazione e la presidenza italiana del semestre, guidata da Berlusconi, ha compiti immani da portare a compimento. Dio lo aiuti.
Un nuovo ordine mondiale, basato sulla pace e la cooperazione, non è ancora dato. Guerre come quella in Palestina o in Iraq sono il segno che questo ordine non è stato ancora disegnato nei suoi presupposti essenziali, che sono il rispetto per l'autodeterminazione dei popoli, la democrazia, la ridistribuzione del benessere, il dialogo inter-religioso.
Concludendo mi dà gioia ricordare le parole di un grande scrittore cattolico, Georges Bernanò, il quale disse:
Dio non ha che le nostre mani per agire nel mondo. Tutto dipende da noi, dunque.

Seconda parte
Le relazioni internazionali: cosa sono e come si fanno.
Vorrei per sommi capi esporvi ora l'attività che va sotto il nome di Relazioni Pubbliche Internazionali, ovvero quella particolare organizzazione dei rapporti tra soggetti di diverse nazioni tesa a conseguire risultati concordati d'ordine politico, economico o sociale.
Le Relazioni Pubbliche sono per definizione una disciplina della comunicazione, una presenza riconosciuta in un universo di fatti estremamente seri: guerre e conflitti sociali, industria e finanza, ambiente, salute, consumi, cultura, media, sistemi informativi ed altro.
Le cosiddette P.R. sono dunque un'attività assai sfaccettata, un caleidoscopio nel quale, nel corso degli ultimi vent'anni, si sono buttati molti parvenues, nani e ballerine, personaggi di dubbia professionalità, contesse più o meno blasonate, tenutarie di salotti che hanno concepito – direi per tutto l'arco degli anni ottanta – le P.R. come una via di mezzo tra il meretricio delle agendine, una gonna che va su e due dita di Martini molto freddo.
Codesta concezione delle relazioni pubbliche si è sviluppata soprattutto nel fitto sottobosco della politica, dove hanno regnato – e ahimè, ritengo regnino ancora – personaggi la cui unica capacità è quella di ciacolare, di chiacchierare in nome e per conto di qualcuno che talvolta neppure sa di essere relazionato. Insomma, queste pretese relazioni pubbliche, sono per molti divenute un mestiere a basso costo, ultimo rifugio di sfaccendati senza arte né parte. Delle contesse, fortunatamente in via di estinzione ho già detto : s'avanza ora però una schiera più pericolosa, a mio avviso, composta da quelle che amo definire le terze file della prima Repubblica Italiana. Mi riferisco ai segretari dei segretari, alle assistenti di secondo piano, che non avendo avuto come si dice mani in pasta e conseguentemente avendo per puro caso mantenuto intonsa anima e fedina penale, oggi possono riciclarsi senza colpo ferire sostenendo nuovi potenti, esercitando l'attività di P.R.
Ne consegue che queste relazioni pubbliche nulla hanno che vedere con le relazioni pubbliche internazionali.
Preciso immediatamente che le P.R. internazionali alle quali faccio riferimento non sono direttamente riconducibili a progetti di promozione aziendale, di prodotto o di servizio, non fanno cioè parte dell'area del marketing. Sono piuttosto riferite a ciò che gli anglosassoni definiscono public affairs, cioè eventi, fatti e circostanze che coinvolgono governi, enti ed istituti governativi, relazioni quindi tra gli stati, o tra questi e multinazionali.
Le relazioni internazionali che abbiamo esercitato fino ad oggi, ci hanno portato a costruire rapporti, per conto di autorevoli e talvolta prestigiosissimi referenti, con organismi istituzionali e politici degli Stati Uniti, della Russia, della Comunità Europea, dei Paesi Arabi, del Giappone e dell'Argentina, con una varietà di esperienze che – per deontologia professionale – non mi è concesso di raccontare. Ma qualcosa poi dirò!
Potrà apparire singolare, oppure indice di debolezza di un Governo, ma talvolta l'intervento di una persona estranea agli interessi più immediati di una vicenda può aiutare a risolvere un contenzioso, quando non un conflitto armato. Non è evidentemente quest'ultimo il mio caso, ma di guerre commerciali – queste sì – potrei raccontare a lungo. Riguardo ad esempio al blocco americano della pasta, incontrai, molto prima del suo passaggio a miglior vita, il grande Pietro barilla, nella hall del grand Hotel di Rimini, una domenica mattina prima dell'apertura dei lavori delle nostre Giornate di studio. Mi rese edotto della sua preoccupazione. Gli USA rifiutarono i suoi prodotti. Bene, non diedi tempo al tempo, e lo feci incontrare con Gary Hart nel ristorante vuoto dell'albergo, dove si parlarono per circa un'ora. Quindici giorni dopo la pasta italiana riprese la strada per gli USA.
Le P.R. internazionali dunque sono un'attività fondamentalmente fiduciaria, che è possibile realizzare solamente dimostrando il totale disinteresse personale.
Prerogativa principale è quella di godere di un altissimo indice di stima da parte degli interlocutori governativi, di grande spirito organizzativo e di un carattere che eviti di cedere al primo ostacolo di una trattativa.
Nella mia esperienza con il Centro Pio Manzù ho avuto modo di trattare argomenti perfino scottanti: contenziosi sul petrolio, guerra della pasta, e piano regolatore dell'Arabia Saudita, sono tre emblematici esempi, assai significativi.
Da queste vicende si evince come le relazioni pubbliche internazionali siano, in realtà, un sistema di contatti costruito sulla riduzione delle reciproche diffidenze.
Al contrario di quanto la gente pensi ed i giornali scrivano, fatti anche clamorosi che sconvolgono assetti commerciali, mercati finanziari, rapporti di frontiera, sono risolvibili con un solo e semplice criterio: la buona volontà. Spesso si crede che dietro la politica internazionale agiscano frotte di delegazioni diplomatiche, azzimati funzionari, solerti schiere di segretarie, o che si proceda per protocolli, virgole e punti e virgole. Questa è la facciata, ma la sostanza è ben diversa. La sostanza è fatta di due ministri che un bel giorno porto a mangiar tagliatelle alla Fortezza Marcosanti di Poggio Berni, di un sorriso freddo che a fine pranzo diventa una pacca sulla spalla, di un foglio di carta volante sul quale si riscrivono i termini di un armistizio commerciale mentre scorrono due dita di Santo Giovese. La gente crede, ma purtroppo non sa. Non sa che le più temibili crisi internazionali sono spesso state risolte attorno ad una tavola imbandita o passeggiando per un salone di un Grand Hotel, in un salottino riservato o in una discoteca… perché é successo anche questo.
Non è possibile pertanto improvvisare questo lavoro. Esso è la somma di un credito personale conquistato giorno per giorno, di una stima che porta a possedere migliaia di numeri di telefono riservati, indirizzi preferenziali, nominativi di segretarie particolari, riferimenti sui gusti e gli stili di vita di questo o quel personaggio, del quale occorre sapere lo sport o l'hobby preferito, le letture, i gusti alimentari: mai regalare un orologio ad un giapponese, sarebbe come augurargli che il suo tempo finisca presto! Soprattutto però, agire nel campo delle relazioni internazionali significa monitorare costantemente la realtà geopolitica e geoeconomica, avere collaboratori abili e d'eccezione, amici in ogni parte del mondo ai quali rivolgersi per avere informazioni sicure, rapide e attendibili.
Significa avere operatrici multilingue, capaci di intrattenere conversazioni telefoniche con ministri stranieri, nonché un apparato tecnologico e telematico all'altezza dei tempi, prodotti informatici semplici ma aggiornati, capacità di coltivare immagine.
Un nostro conoscente, Simone Kesseler, responsabile della Cornhill Publications, una casa editrice inglese, una volta diede questa definizione dell'immagine: Ogni volta che rispondi al telefono hai un'opportunità di metterti alla prova. Tutto quello che fai è pubblicità di te stesso, da come parli con tutti, dall'uomo che è in te in su. Tutto ti da una collocazione, tutto è relazioni pubbliche. La trovo una definizione molto efficace che coglie il cuore di un mestiere che – ne sono convinto – è parte integrante dello sviluppo più generale delle comunicazioni umane sostenute dalle tecnologie più avanzate: è attraverso queste metodiche che è stato costruito il Pio Manzù.
Signori Presidenti, illustri presenti, non voglio dilungarmi oltre per non farvi pentire di avermi invitato.
Potremo avere telefonini sempre più sofisticati, televisioni interattive, computer multifunzionali, ma dall'uno e dell'altro capo di una tastiera o di un microfono ci saranno sempre due cervelli umani costretti ad aprirsi per capirsi, due sensibilità in carne e ossa, pulsioni e sentimenti, stati d'animo e diverse disponibilità, che solo ed esclusivamente l'uomo è in grado di comprendere ed indirizzare ad un buon fine.
E' con questa considerazione che desidero ringraziare i cari Amici Vostri Presidenti Bruno Vernocchi e Oreste Di Giacomo nonché Voi tutti per l'attestato di stima dimostratomi, un attestato che mi ha profondamente toccato. Un grazie di cuore e che la vita vi arrida sempre, sempre.