Nella consueta cornice offerta dal Grand Hotel di Rimini la scrittrice Maria Antonietta Ricotti Sorrentino ha introdotto la presentazione, ai soci ed ospiti presenti alla serata, dell'ultima fatica letteraria di Piero Meldini
Dal titolo "La falce dell'ultimo quarto"
Breve Monografia dello scrittore
Piero Meldini e' nato a Rimini, dove vive, nel 1941. Dal 1972 al 1998 ha diretto la Biblioteca Gambalunghiana, fondata agli inizi del Seicento e ricca di importanti fondi storici, manoscritti e a stampa. E' stato tra i fondatori e tra i collaboratori piu' assidui della rivista "La Gola" e fa parte della redazione di "Slow", il quadrimestrale del movimento Slow Food. Ha collaborato a vari quotidiani, da "Il Messaggero" a "La Repubblica", a "L'Unita' ", a "La Voce". Collabora alle pagine culturali de "Il Resto del Carlino", "La Nazione" e "Il Giorno". E' autore di una dozzina di monografie e di un numero imprecisato di contributi. Negli anni Settanta ha scritto soprattutto di storia contemporanea; negli anni Ottanta, di storia dell'alimentazione e della cucina.
Maria Antonietta Ricotti Sorrentino ha introdotto la presentazione dell' ultimo fatica dell'autore dal titolo La Falce3 dell'ultimo quarto
Note di Copertina del libro La falce dell'ultimo quarto
"Il mercante riapra' gli occhi. "Fosse per me" rimuginava "abbandonerei senza indugio questa valle di lacrime. lassu' c'e' chi mi aspetta a braccia aperte. ma ho lasciato le cose a mezzo e non posso morire senza averle prima sistemate. temo che dovra' riscrivere il testamento." Stato della Chiesa, piena Restaurazione. Nulla scuote l'atmosfera torpida della piccola citta' papalina in cui "gli anni sembrava fossero di mille giorni e i giorni di cento ore. Ma in casa di Bartolomeo Bartolini, ricco mercante di granaglie, non regna la pace: Giacomo, l'amatissimo nipote ventiduenne, da allo zio un grattacapo dietro l'altro. Non solo frequenta compagnie pericolose, giovani vestiti in modo eccentrico e con simpatie Carbonare, ma fugge con una cantante rossa di capelli e piu' vecchia di lui. Non minori preoccupazioni, anche se di tutt'altro genere, da al mercante il figlio Orfeo, ventiseienne, che e' solitario, dimesso e malinconico quanto il padre e' socievole, esuberante e collerico.
L'unica arma che ha Bartolomeo e' il proprio testamento, e a seconda della piega che prendono gli eventi, lo scrive e lo riscrive, premiando (e punendo) ora l'uno ora l'altro erede…
Immergendosi in questa storia comica e tragica, semplice e misteriosa, il lettore provera' il senso della distanza temporale e, insieme, quello della contemporaneita'; si sentira' trasportato in un'epoca lontana e la percepirà come familiare fin dalle prime righe, forse perche' certe lentezze, certe atmosfere rese stuporose dall'ignavia, dal cibo saporito e pesante, dalle nebbie e dalla calura, fanno parte del DNA profondo della provincia italiana. La ricostruzione storica, accuratissima, e' assolutamente inavvertibile. Tutto è osservato attraverso gli occhi dei personaggi e detto con le loro parole, che suonano, al tempo stesso, moderne e datate, colte e popolaresche. Il tema di fondo di questo romanzo avvolgente, affascinante, inesorabile e' il fallimento a cui sono destinati i progetti umani. Tema impopolare ma certo non inattuale in un'epoca come la nostra, in cui l'egocentrismo e il senso di onnipotenza, accoppiati con l'insopprimibile tarlo della precarieta'.
partoriscono il delirio dell'immortalità attraverso la clonazione. L'ossessione del testamento si può leggere, infatti, come un precedente storico di tale delirio. Il protagonista aspira a continuare a vivere nei propri discendenti/ determinandone i destini attraverso le ferree disposizioni testamentarie, i codicilli puntigliosi, le formule immutabili e ipnotiche. In questo gioco d'ombre, i personaggi tendono progressivamente a dissipare la loro concretezza e la loro fisicità . A rivelarsi, alla fine, della sostanza dei sogni.