Clicca qui per leggere ARIMINUM Anno XXVIII – N. 6 – Novembre – Dicembre 2021
Si troverà, ahimè, l’occasione di scrivere delle Chiese chiuse a cui recentemente ha dedicato un volume (tra il saggio e il pamphlet) lo storico dell’arte Tomaso Montanari: abbandoni, saccheggi, situazioni di pericolo strutturale, crolli, utilizzi impropri del loro valore storico e sacro.
Mi si permetta di anteporre oggi a questo grido di dolore, un motivo di soddisfazione.
La parrocchia cittadina di Sant’Agostino, con il suo grande tempio, consacrato a San Giovanni Evangelista, e lo splendido portale recentemente ripulito, dà segni incoraggianti di ottima salute: un centro di vita religiosa, sociale e culturale vivacissimo, frequentato e amato, sapientemente diretto dal suo bravo parroco, Vittorio Metalli.
A quest’ultimo, all’Ufficio dei Beni Culturali della Diocesi e all’impegno generoso del Rotary Club Rimini si deve anche il sostegno alla complessa opera di svelamento, nella cappella feriale, degli sconosciuti affreschi dell’ultimo Medioevo, di cui ampiamente parliamo in questo numero.
C’è da esserne contenti, ma senza riposarci sugli allori: se c’è una chiesa che custodisce strepitosi capolavori pittorici e scultorei dal XIII al XVIII secolo, e che si rivela un cantiere di scoperte sempre più interessanti, è obbligo che la comunità, i privati cittadini, i singoli fedeli e le istituzioni pubbliche e private stiano accanto all’operoso parroco e alla sua comunità, incoraggiandoli e aiutandoli in quest’opera di custodia e valorizzazione.
Siamo, qui, sulla strada giusta; eppure il recupero e restauro delle pitture scoperte deve essere completato e si deve cercare anche di migliorare con una nuova illuminazione e una diversa considerazione dello spazio, la fruizione della vertiginosa cappella del Campanile, che racchiude i lacunosi ma ancora commoventi affreschi di Giovanni da Rimini, da sempre difficilmente visibili.
Non sono temi che riguardino la singola parrocchia, i suoi preti o la Chiesa riminese, o gli storici dell’arte: interpellano, piuttosto, la nostra storia condivisa, il nostro senso del bene pubblico, l’orgoglio, se non la felicità, di possedere ancora, al centro di Rimini, un luogo che, parola di Antonio Paolucci, vale San Miniato o Santa Croce.