Arte per mare – Dalmazia, Titano, Montefeltro….

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Serata dedicata all'argomento – Arte per mare – Dalmazia, Titano, Montefeltro dal primo Cristianesimo al Risorgimento. Relatore Giovanni Gentili coordinatore della Mostra che durerà sino all' 11 novembre: il Museo di Arte Sacra nella Città di San Leo e il Museo di San Francesco nella Repubblica di San Marino. “Arte per mare” è stata promossa dalla Diocesi di San Marino-Montefletro in collaborazione con la Repubblica di San Marino e la Città di San Leo
Di seguito un testo tratto dal sito web ufficiale della Mostra
Arte per Mare
100 opere d’arte, di cui molte inedite o quasi sconosciute, costituiscono le tappe attraverso le quali ripercorriamo le strade della storia e dell’arte tra Dalmazia, Titano e Montefeltro, lungo la via ideale tracciata dai dalmati Leone e Marino, scalpellini trasferitisi nel IV secolo della nostra era dall’isola croata di Rab/Arbe, nel territorio dell’antica Rimini, oggi patroni della città di San Leo e della Repubblica di San Marino.
I due dettero poi origine ad una sorta di movimento religioso che trasformò in una specie di piccola Tebaide il territorio boscoso e selvaggio tra il mare e l’Appennino, e alle prime comunità del Montefeltro che ne tramandano, oggi, il nome e la riconoscenza.
Se le tracce della prima comunità cristiana cui appartennero Leone e Marino sulla loro isola natale sono fino ad oggi scarse, la città di Salona di là dal mare e Rimini sulla costa opposta offrono una sicura base di partenza per l’avvio del nostro percorso espositivo. Salona, oggi Solin, – la più grande città della Dalmazia romana, a due passi dall’odierna Spalato -, offre al visitatore insigni monumenti di età paleocristiana: chiese e basiliche, battisteri, necropoli, insieme ad una quantità di oggetti di uso quotidiano e liturgico di grande bellezza, esposti in mostra. Di qua, della città di Ariminum in età tardoantica restano numerose testimonianze significative: dai mosaici delle case patrizie ai primi documenti di età cristiana, tra cui lucerne, frammenti di sarcofagi e un raro reliquiario in argento di V secolo ritrovato all’interno di un antico altare marmoreo, primo documento sicuro dell’edilizia ecclesiastica cristiana in quel tempo.
Più all’interno, sul “sasso” dell’odierna San Leo come pure sul Titano, le fonti letterarie ci raccontano di santi eremiti – Severino, Basso e altri – cui sono legate le prime fondazioni di edifici cristiani oggi perduti o ampiamente ristrutturati. E’ il caso della pieve di San Marino, ormai cadente nell’Ottocento, quando fu abbattuta; o di quella di San Leo, del VI secolo, che ci è invece pervenuta in forme più recenti.
Pietre scolpite ne documentano la primitiva decorazione e la bellezza. Raccolti nel Palazzo Mediceo di San Leo – prima tappa del percorso espositivo – i plutei, i capitelli e altri elementi architettonici provenienti da questi antichi edifici come dalle prime chiese di Salona, parlano un linguaggio comune, diffuso in età altomedievale attraverso il mare. Nodi, intrecci, fogliami, rilievi figurati decorano le superfici: un insieme fantastico, a volte “barbaro” nel tratto e nella esecuzione, di grande effetto cromatico per via del gioco – o della guerra? – tra luci e ombre, evocativo di un età difficile e violenta cui la Chiesa poneva rimedio attraverso la presenza silenziosa ma operosa dei monaci, presenti nei territori del Montefeltro come sull’altra riva adriatica. E’ dal duomo di San Leo, splendida costruzione romanica, che proviene la grande Croce dipinta con la quale si chiude la sezione della mostra a Palazzo Medici. Il recente restauro ne ha svelato l’antichità oltre che lo splendore: il volto ritrovato del Cristo, raro “pezzo da novanta” della pittura di età romanica, risale infatti al secolo XII. La pieve e la cattedrale di San Leo completano il percorso espositivo. Pochi altri luoghi in Italia emanano un fascino e una suggestione pari a quello esercitato dai due edifici romanici che si ergono poderosi direttamente sulla viva roccia; due vigili sentinelle che, al pari del celebre forte rinascimentale, controllano dall’alto la valle del Marecchia. Di qui la vista spazia immensa tra picchi improvvisi e forre boscose, con qualche sella erbosa qua e là a placare un paesaggio tormentato e superbo.
Sull’erta scoscesa del Titano, presso le notissime rocche sanmarinesi poste sul dirupo che dà verso il litorale, è ospitata la seconda parte della mostra, nel Museo di San Francesco, nel cuore del centro storico. Pittura e scultura per lo più, insieme a splendide oreficerie e a pagine miniate di rara bellezza, documentano il legame plurisecolare esistente tra le due sponde dell’Adriatico a partire dal secolo XIII fino al Rinascimento, tramite una produzione artistica di notevole livello dovuta all’ingegno e alla mano di maestri spesso attivi su entrambe le coste del mare. Sono opere dovute ad anonimi pittori bizantineggianti scelti per illustrare con l’evidenza del bello quanto l’Adriatico sia stato allora una grande via di cultura, oltre che di migrazioni di genti, di commerci, di scambi e di inevitabili battaglie. E’ questo il tempo del rinnovamento spirituale dovuto agli ordini mendicanti, specie ai francescani capillarmente presenti fin dai tempi di Francesco nelle due terre bagnate dal mare. Alla committenza di questi si devono Croci e Madonne e quei Volti Santi o Imagines Pietatis, tipici dell’area adriatica, destinati a grande fortuna specie nel Trecento e Quattrocento.
Se il mare la fa da padrone, tramite Venezia, come via del commercio e quindi dell’arte – basti accennare a Paolo Veneziano e ai suoi allievi, le cui opere si ritrovano un po’ ovunque sulle due sponde e negli immediati entroterra: nei pressi di Cesena come a Rab, a San Leo e a Spalato, a Santarcangelo di Romagna, a Imola o a Pesaro e in tanti altri centri – la sella appenninica, attraverso le “bocche” montane che collegano oggi come allora la Toscana, le Marche e la Romagna al mare, è un’altra via d’arte e di cultura non meno importante. Di qui passano pittori e scultori fiorentini in pieno Quattrocento, attratti sia dal fervore artistico di Urbino che dalle novità provenienti dalla sponda dalmata, al seguito della creatività geniale dei Laurana – Francesco lo scultore e Luciano l’architetto – e di Giorgio da Sebenico.
Per non dire del cantiere del Tempio Malatestiano riminese costruito, non a caso, in blocchi di pietra d’Istria. Sono scultori quali Nicolò di Giovanni Fiorentino, Andrea Alessi, Giorgio di Matteo Dalmata, Giovanni Dalmata; pittori come Giorgio Schiavone, Carlo e Vittore Crivelli e i tre fratelli Vivarini. Le loro opere, presenti sia sulle due coste come nel nostro entroterra – la Dalmazia, si sa, è regione esclusivamente costiera per morfologia del territorio – segnalano le profonde novità che si andavano allora affermando in senso rinascimentale, senza tradire fino in fondo, però, l’amore e la passione tutte adriatiche per i colori dell’oro e per le luci del mare, retaggio orientale per nostra fortuna duro a morire. Come la bellezza, e il desiderio che il bello permanga sempre: vivo, se pure dipinto sul legno, forgiato nel metallo o scolpito nella pietra